10 cose da vedere a Bologna legate a 10 paesi diversi

10 nazioni diverse, 10 monumenti da scoprire. Lo sapevi che ci sono 10 cose da vedere a Bologna legate a 10 paesi diversi?

Un viaggio nella storia e nella geografia attraverso personaggi, monumenti, palazzi che hanno fatto non solo la storia di Bologna, ma anche quella del mondo intero! Perché con Lionspeech parli davvero tutte le lingue del mondo!

Lionspeech: All you can speak!

1) Bologna e la Spagna

Il collegio di Spagna – Via Collegio di Spagna, 4

Il Collegio di Spagna non è solo uno dei più bei monumenti della città di Bologna, è anche il Collegio universitario per studenti stranieri ancora in attività più antico al mondo. Un prestigioso primato!

Il Collegio fu voluto dal Cardinale Egidio Albornoz (1310-1367), potentissimo inviato dei papi avignonesi in Italia, come “domus hispanica” ed è anche conosciuto come Reale Collegio Maggiore di San Clemente degli Spagnoli e Reale Collegio di Spagna.
Ancora oggi è un collegio universitario per studenti spagnoli. È un ente privato che non riceve sovvenzioni pubbliche. L’istituzione, molto famosa anche in Spagna, gode dei privilegi che derivano dal suo status di extraterritorialità, come se fosse un’ambasciata, e anticipa la formazione politica della Spagna già nel 1364, epoca in cui il paese era ancora diviso nei regni di Castiglia, Aragona e Navarra.

Il Collegio è governato da una Giunta di Patronato, che, secondo la volontà del fondatore, il Cardinale Egidio Albornoz (1310-1367), deve avere come Presidente “Ad Perpetuam” il capo del lignaggio (o casata) di Albornoz. Ed ancora oggi è così.
Un lontano discendente del cardinale, Iván de Arteaga y del Alcázar, marchese di Ariza e Armunia, è attualmente il Patrono e Presidente della Giunta di Patronato del Collegio, essendo capo del lignaggio (o casata) Albornoz.
In tal modo, il nome del Cardinale che riportò sotto l’autorità del Papa tante città che si erano ribellate alla Chiesa, trasformandosi in Signorie, continua ancora oggi ad echeggiare nei severi cortili dell’antico collegio.

Il Collegio ha in parte l’aspetto di una fortezza munita di merli e vi si accede (occorre chiedere il permesso) tramite un superbo portale cinquecentesco.
Contiene vari tesori artistici, come uno stupendo cortile porticato interno e la Chiesa gotica di San Clemente.
Oltre a questo dispone di una collezione immensa di Codici miniati, tra i più rari e preziosi al mondo.

La Giunta di Patronato che governa dal medioevo il collegio universitario più antico del mondo è composta da cinque membri:

  1. il Presidente, che è il Patrono “ad perpetuam”;
  2. l’arcivescovo di Toledo;
  3. un rappresentante del Re di Spagna;
  4. uno del Ministero degli Affari Esteri;
  5. e, infine, un rappresentante degli ex collegiali,

come espressamente indicato dal Cardinale Albornoz.

Il fortissimo legame esistente tra la Spagna e Bologna, confermato dai nomi di tante strade e dalle migliaia di studenti spagnoli che studiano in questa città, rimane saldo da secoli.

2) Bologna e l’Austria

L’Accademia Filarmonica – Via Guerrazzi, 13

L’acclamata Accademia Filarmonica di Bologna fu fondata a Bologna, nel 1666, da Padre Vincenzo Maria Carrati, nel palazzo di famiglia, con l’intenzione di raccogliere musicisti «acciò havere filo et unione da non disunirsi e rendere buon suono».

L’accademia fece seguito a precedenti accademie musicali bolognesi, dai nomi particolarmente buffi, come

  • l’Accademia degli Accesi, poi dei Ravvivati e infine dei Riaccesi,
  • e l’Accademia dei Floridi, poi dei Filomusi e dei Filaschisi,

con il fine di promuovere la cultura musicale tra i bolognesi.

Fu scelto come patrono dell’associazione Sant’Antonio di Padova, e come stemma un organo ed il motto “Unitate melos”.

L’Accademia acquisì presto grande fama in tutta Italia, anzi divenne, con Santa Cecilia, il conservatorio musicale più rinomato d’Europa: essere ammessi a farne parte era un titolo ambitissimo da molti musicisti.
Una conferma la si ha leggendo la richiesta del compositore veneziano Benedetto Marcello che, presentando una sua composizione (Messa a Cappella per Papa Clemente XI) chiese di

«[…] farla vedere a questi virtuosi Maestri Accademici perché si compiacciano compatirla e riceverla in dono, se mi accettano loro benché inutile compositore. […] tutte queste cose ho detto per mia quiete, e s’intende tutte sottomesse ai riflessi dei Signori accademici, i quali prego a volermi amorosamente correggere»

L’Accademia dominava la vita musicale bolognese e aveva il potere di autorizzare i maestri di cappella alla professione, controllando di fatto l’attività musicale nelle chiese della città (un privilegio fino ad allora concesso dal Papa solo ai Musici di S. Cecilia a Roma).

Certamente il discepolo più famoso fu Mozart e la storia del suo esame di ammissione è particolarmente curiosa.

Il quattordicenne Wolfgang Amadeus Mozart fu sottoposto, nel 1770, all’esame per essere aggregato all’Accademia: la difficilissima e rigida prova di esame su “un’antifona di canto fermo” mise in crisi Mozart, che, sebbene fosse un bimbo prodigio, fece molti errori.
Però passò l’esame e fu ammesso all’Accademia Filarmonica.
Come mai?
La spiegazione è visibile presso il Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna, dove esistono due versioni della prova di esame, una delle quali scorretta e l’altra corretta. Dato che entrambe sono autografate da Mozart, questa è la prova che padre Martini, il più noto filarmonico del Conservatorio, passò una copia corretta del testo di esame ad Amadeus, per favorirne la promozione.

Così si può dire che Mozart ha “copiato” alla prova d’esame.

Il buon Padre Martini aveva intuito il genio di Mozart e volle aiutarlo. Questo costituì un passo importantissimo nella carriera del giovane compositore austriaco e, senza il prezioso aiuto di Padre Martini, forse il destino di Mozart sarebbe stato diverso.
Mozart si dimostrò infatti sempre riconoscente per gli insegnamenti di padre Martini (e per averlo aiutato a superare l’esame), al punto da scrivergli:

«Reverisco devotamente tutti i Sgri. Filarmonici: mi raccomando sia sempre nelle grazie di lei e non cesso d’affliggermi nel vedermi lontano dalla persona del mondo che maggiormente amo, venero e stimo, e di cui inviolabilmente mi protesto di Vostra Paternità molto Reverenda umilissimo e devotissimo servitore»
(W.A. Mozart, Lettere (1776)).

Così si deve un pochino anche a Bologna se Mozart è divenuto un’icona della musica classica.

3) Bologna e la Francia

Santuario di Santa Maria della Vita – Via Clavature, 10

Il bellissimo santuario, barocco, venne ricostruito nel 1687-1690 da Giovanni Battista Bergonzoni, che impostò la pianta centrale ellittica, dotata un secolo dopo di cupola di Giuseppe Tubertini (1787), su probabile progetto del Terribilia. La chiesa, incastrata tra le viuzze del centro storico di Bologna, è soprattutto nota per conservare il gruppo del Compianto sul Cristo morto di Niccolò dell’Arca, capolavoro della scultura quattrocentesca.
Tuttavia il Santuario è strettamente legato alla Francia per un fatto curioso, che pochi conoscono.
Il Santuario è molto bello, ma, solo per mezza giornata all’anno, il 10 settembre, il suo fascino raddoppia, grazie all’arte orafa.
Soltanto durante la mattinata di quel giorno, infatti, viene esposto al pubblico un gioiello molto particolare, il cosiddetto Gioiello del Re Sole: un preziosissimo monile formato da una placca metallica convessa di forma ovale su cui posa una raffigurazione in miniatura del re Luigi XIV, dipinta su smalto e contornata da decine di grandi diamanti e zaffiri.
Qual è la storia di questo gioiello unico?
Il gioiello fu donato dal Re Sole al celebre storico ed erudito bolognese Carlo Cesare Malvasia in segno di gratitudine, per avergli dedicato la sua opera Felsina Pittrice nel 1678.

Un segno dell’estrema generosità del Re Sole.
Il Malvasia, a sua volta, attraverso il proprio testamento redatto nel 1692, rese erede de «la cosa più preziosa che io abbia in questo mondo» l’Arciconfraternita di Santa Maria della Vita, con l’esplicito vincolo di esporlo al pubblico il 10 settembre di ogni anno, in memoria della guarigione da una grave malattia, che Malvasia ottenne per intercessione della veneratissima Madonna della Vita, immagine rimasta per qualche secolo misteriosamente nascosta sotto uno strato di imbiancatura a calce e riaffiorata alla luce, per l’appunto, il 10 settembre 1614 in occasione di una generale ripulitura della chiesa.
La miniatura del Gioiello del Re Sole è contornata da una cornice in argento dorato su cui è incastonato un doppio giro di diamanti di dimensioni differenti, alcuni dei quali molto grandi. La cornice è poi completata da un gruppo di zaffiri disposti a forma di corona culminante nel giglio di Francia. Si tratta di un oggetto raro e dal valore unico, anche per l’importante memoria storica che racchiude: il re nel gioiello è rappresentato con un’ampia parrucca arricciata e una corazza con collare e spalline a teste di leone, e porta a tracolla la sciarpa azzurra dell’Ordine di Saint Esprit.
La cornice fornisce poi un eloquente esempio della produzione delle manifatture orafe francesi al tempo del Re Sole: lavorazioni fastose e ridondanti di pietre e materiali preziosi, destinate ad esaltare la ricchezza e la potenza del donatore.
La miniatura del Gioiello del Re Sole è conservato per tutto il resto dell’anno presso il Museo della Storia di Bologna in Palazzo Pepoli.
In questo modo si può dire che un piccolo pezzettino del fasto e dello splendore di Versailles ha raggiunto la città delle torri.

4) Bologna e la Russia

La Chiesa ortodossa di San Basilio Il Grande – Via Sant’Isaia 35

La chiesa ortodossa di San Basilio in Bologna è molto antica, anche se è passata all’ortodossia solo 46 anni fa.
Avvenne infatti nell’ottobre del 1973.
Padre Evloghi, igumeno del Patriarcato di Mosca, residente a Milano, chiese ed ottenne dal Comune di Bologna una chiesa di medie dimensioni ma con un notevole passato storico.

Gli fu data la Chiesa di Sant’Anna.

Il tempio dedicato alla Beata Anna, Madre della Theotokos, cioè della Madonna era stato fondato dal Cardinale Albergati nel 1435; lo stesso illustre cardinale di Bologna che, qualche anno più tardi, parteciperà come teologo e polemista latino al Concilio di Ferrara-Firenze, che portò all’elezione dell’antipapa Felice V. Egli elesse il tempio come Dipendenza (dentro la città) per i Padri Certosini; l’ordine religioso a cui egli stesso apparteneva. Dal Re d’Inghilterra il Cardinale aveva ricevuto, per aver mediato la pace dopo la guerra dei Cento Anni con la Francia, una Reliquia di grandissimo pregio: la testa di Sant’Anna, appunto, trafugata dai Crociati veneziani a Costantinopoli nel sacco del 1204, e che collocò nel nuovo tempio da lui fondato.
Nel 1716 la chiesa fu completamente ristrutturata in stile Barocco, con un piano asimmetrico, due grandi cupole al centro e tre piccole laterali. Fu affrescata con colori tenui, in prevalenza verde e azzurro, con le allegorie delle Virtù Teologali. Il Pittore bolognese Pizzoli con la sua scuola ne curò gli affreschi, mentre le tele, oggi nel museo di Bologna, furono dipinte dal Tiarini, uno dei maggiori pittori italiani del ‘700.
Di quest’ultimo è stato ritrovato un dipinto sotto il portico, rappresentante Sant’Anna, la Madre di Dio, il piccolo Gesù e Giovanni Battista, che era considerato ormai perduto.

La chiesa in seguito fu sconsacrata dal generale di Napoleone che occupò la città agli inizi dell’ottocento e cadde in abbandono.

La reliquia di Sant’Anna fu quindi portata nella nuova cattedrale di San Pietro e, da allora, quella che sarà la futura chiesa ortodossa di San Basilio giacque in abbandono per molti decenni; anzi, da ultimo fu adibita dal Comune a deposito di catrame e di sale per gli spartineve.
Nel 1973 la chiesa divenne ortodossa e il Patriarcato di Mosca ha dato nuovo splendore all’antico tempio, mantenendone il tono barocco, dai tenui colori, ma arricchendolo con il fasto delle icone russe. Nella primavera del 1976 furono sistemati il santuario e l’iconostasi in fondo al tempio ottenendo un miglioramento dello spazio ed una migliore armonia estetica. Furono dipinte e portate dalla Provvidenza molte icone. L’artista Spyros Papaspyros ha realizzato la bellissima iconostasi.
La chiesa, ora è un “fiore all’occhiello” della Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca in Italia.
È stato realizzato anche un Altare laterale dedicato ai Santi Taumaturgi, in ricordo della chiesa di Bari, con una bella iconostasi un po’ barocca come d’altronde è lo stile architettonico del tempio.

Visitare la bella chiesa consente di fare un salto nell’antica Russia, pur rimanendo a Bologna.

5) Bologna e la Danimarca

Il Palazzo Ranuzzi – Piazza dei Tribunali, 4

L’origine del gigantesco palazzo, uno dei più grandi della città e oggi sede della Corte d’Appello, risale al 1572, quando Carlo Ruini, nipote del celebre ed omonimo giurista, iniziò lo scavo delle fondamenta.
La facciata venne costruita attorno al 1582, probabilmente su disegno di Andrea Palladio , sebbene la paternità non sia del tutto certa, e sicuramente i lavori vennero realizzati da maestranze locali senza la supervisione del celebre architetto, morto due anni prima.
Estinta nel 1634 la famiglia Ruini, il palazzo non era ancora compiuto, e solamente in parte abitabile. Venne venduto nel 1679 al conte Marco Antonio Ranuzzi, marchese della Porretta, la cui famiglia lo completò e lo impreziosì, facendone uno dei palazzi più sfarzosi ed importanti della città.
Lo scenografico scalone rococò, uno dei più belli d’Italia, realizzato nel 1695 e dotato di due rampe ellittiche, è opera degli architetti bolognesi Giuseppe Antonio Torri e Giovanni Battista Piacentini. Le statue dello scalone sono di Filippo Balugani.

Perché il palazzo è legato alla lontana Danimarca?
Poiché questo scalone accolse, nel 1709, re Federico IV di Danimarca, in visita in Italia.

Il suo passaggio per Bologna è rimasto celebre per sfarzo e per la fantastica festa che fu organizzata per celebrare il soggiorno di un re a Bologna.

L’arrivo del re si svolse nei seguenti termini:
il 5 marzo 1709 arrivò a Bologna il consigliere di giustizia e medico di Sua maestà M. Wolff, che mise al corrente i senatori bolognesi dell’imminente arrivo di Federico IV, informandoli che il re sarebbe arrivato in città per via d’acqua, sotto il nome di Conte di Oldenburgo. Ecco come lo storico Francesco Cancellieri in una lettera indirizzata al letterato Salvatore Betti, descrive l’avvenimento:

«… Onde subito furono allestite le barche, due delle quali erano dipinte e dorate per di fuori, e coperte d’un padiglione vellutato. La prima era divisa dentro in due camere chiuse da doppie bussole di cristallo. La seconda conteneva un letto reale, ed ambedue apparate di damasco, trinato d’oro, con placche d’argento appese alle pareti. I barcajuoli erano vestiti con giubbone e calzoni e berretta, all’uso di Venezia, di panno turchino, trinato d’oro; ed i cavalcanti vestiti di panno, di color conforme (1). Si ebbe avviso che ai 9 dopo la colazione, alle ore 18 sarebbe partito il re da Ferrara per Malalbergo. Perciò i senatori deputati, verso l’Ave Maria, con varie carrozze con mute a sei, accompagnati da cavalieri loro colleghi, si portarono a Corticella. Ma il re pernottò a Malalbergo.
Nella domenica del 10, alle ore 18 approdò il re alla Corticella, ove il senatore Bargellini, come decano, lo complimentò. Dopo che il re montò in carrozza, ed arrivò a Bologna a ore 20 circa, andando al palazzo destinatogli del senatore Vincenzo Ferdinando Ranuzzi, in mezzo al folto popolo.».

I festeggiamenti per il re di Danimarca, corredati da uno splendido spettacolo di fuochi d’artificio, superarono per splendore qualsiasi altro evento mondano vissuto dalla città di Bologna nel corso della sua storia, con l’eccezione dell’incoronazione di Carlo V, e i Ranuzzi fecero motivo di eterno vanto l’aver ospitato il re di Danimarca (e Norvegia).

6) Bologna e la Gran Bretagna

Palazzo Fantuzzi – Via San Vitale, 23

La costruzione del Palazzo, famoso per gli elefanti raffigurati sulla sua facciata, venne commissionata nel 1517 dal senatore Francesco Fantuzzi (1466-1433), il quale aveva acquistato a tale scopo nel 1512 case adiacenti alla propria in strada San Vitale. Alcune di quelle abitazioni vennero gradualmente inglobate nel nuovo corpo di fabbrica, al quale si decise di dare coerenza attraverso l’innalzamento di una maestosa facciata.
La paternità del progetto della facciata è incerta, forse opera di Andrea da Formigine ma attribuita anche a Baldassarre Peruzzi o a Sebastiano Serlio.
Nel 1521 i lavori ebbero inizio, ma solo nel 1535 Fantuzzi ottenne l’autorizzazione – in deroga agli statuti comunali dell’epoca – ad innalzare una facciata “alla romana”, ovvero priva del portico, facendo pertanto demolire i portici lignei preesistenti.

Tuttora palazzo Fantuzzi resta uno dei pochi palazzi gentilizi bolognesi privi di portico.
Nel 1680 Carlo Ridolfo Fantuzzi, per celebrare la sua seconda elezione a gonfaloniere, fece costruire un nuovo scalone, che collegasse il pian terreno alla sala di rappresentanza del piano nobile, decorata tra il 1678 e il 1684.
In un appartamento situato sul lato del palazzo, con ingresso su via Guido Reni 8, nacque il 9 luglio 1879 il compositore Ottorino Respighi. L’evento è ricordato da una targa posta nel 2000.

Il palazzo, restaurato di recente, presenta belle decorazioni raffiguranti elefanti, che tradizionalmente fanno parte della tradizione di famiglia: Fantuzzi – Elefant..uzzi.

Come mai questo palazzo è strettamente collegato alla storia della Gran Bretagna?

Poiché in questo palazzo visse e tenne corte non un personaggio qualsiasi, ma addirittura il re d’Inghilterra e Scozia, Giacomo Francesco Edoardo Stuart, detto “the Old Pretender” (il Vecchio Pretendente, noto anche come “Old Melancholy”, Vecchia Malinconia, per il suo carattere malinconico).
Per i cattolici inglesi e scozzesi, ma anche per quelli di tutto il resto del mondo, il vero re d’Inghilterra era lui, uno Stuart cattolico, con il titolo di Giacomo III.

“Vecchia Malinconia” era figlio di re Giacomo II Stuart e nacque nel 1688, pochi mesi prima della cacciata di suo padre, di fede cattolica, dal trono. Anzi, fu proprio la nascita di Giacomo, figlio maschio e ipotetico futuro re cattolico, a innervosire gli anglicani inglesi e a causare la Rivoluzione Gloriosa, che rovesciò dal trono Giacomo II.

Quindi Giacomo III passò tutta la sua vita in esilio, pur ritenendosi l’autentico re d’Inghilterra.

Visse in prevalenza a Roma, ove conobbe e sposò Maria Clementina Sobieska, nipote del re di Polonia, immensamente ricca, magrissima e altrettanto immensamente religiosa.

Perché Giacomo Stuart, il Vecchio Pretendente, si trasferì, dal 1726 al 1730, per ben 4 anni, a Bologna?

Perché, pochi anni prima, la moglie Maria Clementina, sospettosa e preda di visioni mistiche, lo aveva pubblicamente accusato di adulterio, pur non avendone alcuna prova. Offesa e affranta aveva lasciato il marito e si era ritirata, in mesta solitudine, in un convento.

Il papa Benedetto XIII aveva dato credito a Clementina, tagliando il miliardario appannaggio di Giacomo e rimproverandolo pubblicamente.

Giacomo allora aveva giudicato opportuno allontanarsi da Roma, fino a quando le cose si fossero calmate.
Scelse come dimora Bologna, una grande e nobile città e vi giunse con tutta la sua corte nel 1726, prendendo possesso di Palazzo Fantuzzi, uno dei più belli e sontuosi del centro cittadino, un’autentica reggia.

Lì tenne splendida corte, omaggiato dalla nobiltà bolognese, trasformando la città in una specie di capitale d’Inghilterra all’estero.

L’anno successivo l’afflitta Clementina ebbe una specie di ravvedimento, probabilmente spinta dal nuovo papa bolognese, Benedetto XIV, e raggiunse il marito a Bologna, facendo pace e raddoppiando la corte.

Lì si diede ad opere pie e ad una vita di feste e…preghiera.

Dopo 4 anni in cui Bologna fu “capitale” d’Inghilterra, Giacomo e Clementina ritennero che l’episodio del presunto adulterio di Giacomo e fuga di Clementina fosse ormai dimenticato e decisero di tornare a Roma.

Fecero armi e bagagli e lasciarono Palazzo Fantuzzi.

Bologna tornò alla sua vita provinciale e il palazzo smise di essere un Palazzo Reale.

7) Bologna e la Lettonia

Accademia di Belle Arti – Via Belle Arti, 54

Le origini dell’Accademia di Belle Arti, una delle più prestigiose d’Italia, risalgono al 1582, quando i Carracci fondarono a Bologna l’Accademia dei Desiderosi, che divenne nel 1590 Accademia degli Incamminati; dopo il declino della scuola carraccesca, a Bologna vi furono ulteriori tentativi di rifondare istituzioni per l’insegnamento artistico, ma senza successo.
Solo nel nel 1706, Ercole Fava ed altri pittori, guidati da Giampietro Zanotti fondarono un’Accademia a Palazzo Fava che nel 1710, grazie al generale pontificio Luigi Ferdinando Marsili, fu annessa all’Istituto delle Scienze. Nel 1711 venne riconosciuto lo statuto da Papa Clemente XI, l’Accademia prese il nome di Clementina, trovando sede presso palazzo Poggi.
Nel corso del ‘700 lavorarono presso l’Accademia Clementina grandi Maestri come Carlo Cignani, Donato Creti e i Bibbiena.
Durante l’occupazione napoleonica di Bologna l’Accademia Clementina fu soppressa e sostituita nel settembre del 1802 dall’Accademia Nazionale di Belle Arti di Bologna. Essa fu trasferita presso l’ex collegio gesuitico di San Ignazio, una struttura grandissima, dove attualmente si trova, in via delle Belle Arti.

L’Accademia è strettamente legata alla Lettonia per una ragione particolare.
Premesso che un tempo, fino alla fine del ‘700, la Lettonia era uno stato indipendente sotto il nome di Ducato di Curlandia e Semgallia, capitò che il 19 gennaio del 1785 si venisse a trovare a Bologna, Pietro Biron, ultimo duca di Curlandia e Semgallia (il ducato fu poi annesso alla Russia a fine ‘700, quando la vicina Polonia fu spartita e sparì dalle carte geografiche per un bel po’ di tempo).

Pietro Biron, che da ragazzo aveva vissuto in prigionia, poiché il padre Ernesto Giovanni, primo duca di Curlandia della dinastia Biron, era stato detronizzato dall’Imperatrice di Russia Elisabetta e tutta la famiglia Biron sbattuta in prigione, si era poi rifatto di quel triste periodo di stenti, diventando un sovrano munifico, protettore di arti e scienze e organizzatore di feste ed eventi mondani.
Di passaggio a Bologna, rimase impressionato dalla vivacità dell’Accademia Clementina, dalla trionfale accoglienza ricevuta e decise di istituire un premio annuale di mille zecchini d’oro da destinarsi al vincitore di un concorso artistico.

Nacque così il Premio Curlandese, noto con il nome di Concorso Curlandese, divenuto poi uno dei più ambiti premi artistici italiani.

I Concorsi Curlandesi vennero assegnati dal Senato Consulto di Bologna, su giudizio di una commissione nominata dall’Accademia, dal 1777 al 1870 e, in seguito, dalla Municipalità bolognese fino al 1936. Per volere del duca i premi dovevano essere assegnati annualmente, alternando con ciclicità triennale pittura, scultura, e infine, insieme, disegno di architettura e incisione. Poiché erano ammessi a partecipare artisti di ogni nazionalità, nei suoi primi anni il Concorso risvegliò l’interesse di artisti provenienti da tutte le accademie italiane e divenne molto famoso.

A perenne memoria del duca di Curlandia fu eretto un bellissimo monumento neoclassico, opera di Angelo Venturoli (1749-1821) e Giacomo De Maria (1762-1838), a Palazzo Poggi, su iniziativa del Senato bolognese.
Il monumento fu poi trasportato e rimontato, a cura di Leandro Marconi, nello studio del professore di Scultura dell’Accademia di Belle Arti in Sant’Ignazio, che da allora diventerà la Sala dei premi Curlandesi.

Quindi un sottile ma secolare filo lega Bologna alla Lettonia.

8) Bologna e la Grecia

La Basilica di San Francesco – Piazza Malpighi, 9

San Francesco giunse a Bologna nel 1222 e la sua predica determinò un decisivo interesse verso il francescanesimo. I francescani però, tramite l’opera di Bernardo di Quintavalle, avevano ottenuto da Nicolò Pepoli già dal 1213, la modesta casa di Santa Maria delle Pugliole, la quale sarà il primo insediamento francescano a Bologna. Qui i frati rimasero fino al 1236, anno in cui, per interessamento di papa Gregorio IX e per la concessione delle autorità civili, ebbero la possibilità di avviare la costruzione del grande complesso che, fin dalle sue fondazioni, ebbe carattere di monumentalità, diventando poi una delle più grandi chiese bolognesi.
Non si conosce il nome dell’architetto che realizzò il progetto iniziale, ma dalle cronache di Bartolomeo delle Pugliole, si apprende che nel 1254 crollarono due arcate e che nel sinistro venne coinvolto frate Andrea “maestro della ghiexia“, il quale ebbe le gambe spezzate. Questo fa presupporre che frate Andrea fu l’ideatore del progetto originale. È probabile invece che tutto il complesso sia stato realizzato in maniera collettiva dalla comunità francescana intera, senza che ci sia stata una preminente individualità che ha ideato e condotto i lavori. Nel 1263 l’edificio era completo nelle sue parti essenziali.
Tra il 1397 e il 1402 fu innalzato un nuovo grande campanile su progetto di Antonio di Vincenzo, che realizzò anche la prima cappella privata, quella della famiglia Muzzarelli. Lungo il perimetro furono successivamente costruite altre cappelle gentilizie, tutte eliminate nei restauri di fine Ottocento, esclusa la quattrocentesca cappella di san Bernardino.
Dopo l’arrivo dei francesi (1796) la chiesa fu sconsacrata, ridotta a dogana, subì la dispersione del suo patrimonio artistico e conobbe un forte degrado strutturale. Tra il 1886 e il 1906 Alfonso Rubbiani ne curò un restauro che restituì alla chiesa l’aspetto originario ma con alcune pesanti ricostruzioni.
I bombardamenti della seconda guerra mondiale hanno arrecato al complesso ulteriori danni e crolli (facciata, volte e chiostro), poi ripristinati dai restauri della Soprintendenza.
Benché di forme e aspetto ancora prettamente romanici, la Basilica di San Francesco di Bologna è tra le costruzioni italiane quella nella quale sono riflesse con maggiore fedeltà le caratteristiche del gotico francese, chiaramente riconoscibili soprattutto negli archi rampanti absidali esterni.

La Chiesa ha uno stretto legame con la Grecia, in quanto ospita lo stupendo sepolcro, quattrocentesco di Papa Alessandro V (1409 – 1410), l’unico papa che sia sepolto a Bologna, nato Pietro Filargo, greco di Creta.

Il papa è stato retrocesso ad antipapa, ma solo nel 1947, ed ancora oggi i canonisti dibattono se sia stato un papa legittimo o meno. Certo era ritenuto legittimo a fine XIX secolo, quando papa Leone XIII finanziò i lavori di restauro dello stupendo sepolcro, ritenendolo quello di un papa legittimo.

Il greco Alessandro V, che regnò avendo come propria sede proprio Bologna, è ritenuto un antipapa in quanto fu eletto come terzo papa, durante il Grande Scisma di Occidente.
Terzo papa?
Cosa successe?
Ai primi del ‘400 esistevano due papi: uno regnava a Roma e un altro ad Avignone.
Non si mettevano d’accordo, si scomunicavano a vicenda e la Chiesa, nonché l’Europa, era divisa a metà.
Nel 1409 molti cardinali e vescovi, stufi dello Scisma, si riunirono nel Concilio di Pisa ed elessero un terzo papa nella persona del colto e anziano Pietro Filargo, l’unico papa greco della storia.
Erano convinti che gli atri due papi si sarebbero dimessi, ma non lo fecero. Non abdicarono ed entrambi scomunicarono il nuovo papa Alessandro V, che a sua volta scomunicò i due papi.

Il risultato fu che la Chiesa, anziché due papi, ne ebbe tre.
Alessandro V, con Roma e Avignone occupate, si insediò a Bologna, che fu così, per un anno, capitale della Cristianità.
Fu un papa laborioso, un sant’uomo.
Fece un solo errore: fidarsi del Cardinale Cossa, di Napoli, che divenne il suo più intimo consigliere.
Avido di potere, l’astuto cardinale Cossa, dopo 10 mesi, fece avvelenare il povero Alessandro V e si fece eleggere suo successore con il nome di Giovanni XXIII (e anche lui è ritenuto un antipapa).
Alessandro V fu sepolto nella Chiesa di San Francesco (era francescano), in uno stupendo sepolcro, e lì è rimasto, suggellando l’eterna unione tra Bologna e la Grecia.

9) Bologna e la Germania

Palazzo Sanuti Bevilacqua degli Ariosti – Via Massimo D’Azeglio 31

È uno dei più bei palazzi nobiliari di Bologna, che si distingue da tutti gli altri.

Venne fatto erigere da Nicolò Sanuti, conte di Porretta, tra il 1477 e il 1482. Il palazzo esternamente è caratterizzato dall’assenza di portico, elemento invece ricorrente nei palazzi bolognesi dell’epoca, sostituito dalla fascia di bugnato a spigolo smussato in arenaria grigia di Porretta, che corre lungo tutto il piano terra. Per questa ragione il Palazzo pare incastonato con gemme ed è anche noto come il Palazzo dei Diamanti.

All’interno il palazzo possiede uno splendido cortile ornato da decorazioni in cotto di Sperandio da Mantova ed è caratterizzato da due logge le cui colonne sono opera di Tommaso Filippo da Varignana.
Il palazzo è legato alla Germania in quanto ha ospitato l’Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico Carlo V, quando si trattenne, per oltre 4 mesi, a Bologna, scelta come sede di quella che fu l’ultima incoronazione di un imperatore da parte di un papa. Lo storico evento si svolse nel 1530.

È stato sicuramente l’evento più noto mai avvenuto a Bologna, che per un breve periodo fu, come dire, il centro del mondo.
La città fu scelta dall’Imperatore stesso.

A Roma non voleva farsi incoronare, perché dopo il Sacco della città da parte dei lanzichenecchi imperiali, avvenuto nel 1527, la popolazione era ancora apertamente ostile all’imperatore.

Bologna, la seconda città per estensione dello Stato Pontificio, era famosa per la sua Università, era una città piena di monumenti, cosmopolita e ricchissima. L’imperatore la ritenne la sede ideale. Oltre a questo la Basilica di San Petronio era ed è una delle più grandi chiese del mondo.

Nobiltà e popolo si apprestarono negli ultimi mesi del 1529 ad ospitare Papa e Imperatore con il loro nutritissimo seguito: la città divenne così una sorta di teatro del mondo, in cui fu messa alla prova l’abilità dei bolognesi nelle pratiche artigianali ed artistiche. Fu una gara prestigiosa che riscosse giudizi positivi, anche se nessuno aveva previsto che gli ospiti si sarebbero trattenuti così a lungo. Clemente VII giunse a Bologna il 20 ottobre 1529 attraversando le terre del suo Stato: le fonti ufficiali del tempo scrivono che il Papa fu ricevuto pomposamente, ma non del tutto volentieri per le tasse imposte alla comunità per stipendiare le guerre. Carlo V giunse per mare da Barcellona a Genova e proseguì per Piacenza, Reggio Emilia, Castelfranco Emilia e Borgo Panigale (dove è stata fondata la prima sede della Lionspeech!) per giungere in città il 5 novembre successivo: ” … arrivando lo imperatore fece scaricare tutta l’artiglieria, e su la piazza giù dallo palazzo dello podestà era un’aquila negra in mezzo di dua leoni, la quale tutto lo giorno buttò vino vermiglio. E i leoni l’uno buttava vino bianco, l’altro acqua. Et era cosa gratissima alli lancinech, li quali lì appresso rostivano un boe integro pieno di diversi animali e selvaticine cum le corne e piedi indorati. E dallo palatio si gittava pane, caseo, e carne…”

Il 30 gennaio 1530 venne concordata la data dell’incoronazione nel 24 febbraio successivo (il compleanno dell’Imperatore). L’imperatore soggiornò a Palazzo Sanuti Bevilacqua, mentre Clemente VII scelse Palazzo d’Accursio, sede dell’autorità pontificia. La scelta del luogo cadde sulla Basilica di San Petronio, l’edificio religioso più grande e capace, legato alla tradizione della città.
Il 22 febbraio, due giorni prima dell’incoronazione imperiale, Carlo V ricevette la Corona Ferrea di Monza nella Cappella del Legato, oggi Cappella Farnese in Palazzo d’Accursio. In occasione dell’incoronazione del 24 febbraio – giorno del compleanno dell’Imperatore – in San Petronio, per rendere più visibile la processione dei sovrani e dei potenti, venne eretto un pontile che rendeva comunicanti le stanze di palazzo pubblico in cui soggiornavano Carlo V e Clemente VII e San Petronio; nella chiesa erano state costruite cappelle e tribune a somiglianza di San Pietro in Vaticano, riccamente addobbate; la città per ragioni di sicurezza venne fortificata; Piazza Maggiore e le porte vennero chiuse ad opera di Antonio de Leyva e dei suoi soldati armati a protezione di Carlo V. La messa fu lunga e solenne e l’Imperatore, inginocchiato davanti al Papa, dopo aver pronunciato le formule di rito, ricevette la corona aurea, alla presenza dei rappresentanti di tutti gli Stati italiani e di una parte notevole dell’aristocrazia della Penisola:
… il P.P. dette di sua mano all’Imperatore l’insegne dell’imperio, gli diede lo scetro d’oro tutto lavorato in cima col quale religiosamente comandasse alle genti, la spada ignuda con la quale perseguitasse i nemici del nome di Cristo, il pomo d’oro per significare il mondo per che con singular pietà, virtù e costanza quello reggesse; finalmente gli mise in capo l’imperiale corona, e inginocchiato com’era li basciò il piede, e adorò. All’ora avendo l’Imperatore indosso un manto con sopra molte gioie e perle fu menato a sedere a man sinistra poco lungi dal P.P. in sedia coperta di brocato d’oro, ma poco più bassa, e fu chiamato Imperatore Romano. Erano all’hora in piazza Antonio da Leva con molta cavalleria e fanteria armate, le quale sentendo la voce che l’Imperatore era coronato “Viva Carlo V Imperatore Invittissimo”, e il Leva fece sparare tutte le bombarde grosse picciole”[4].
Dopo l’incoronazione, da Piazza Maggiore passando per via Orefici, partì una processione per le vie della città che vide i due sovrani cavalcare su un unico baldacchino seguiti da magnati, magistrati e dottori di legge coi rispettivi vessilli, il governatore di Bologna, quattro cappellani del papa, gli ambasciatori di diversi Stati, vari principi, duchi, marchesi e conti, il collegio dei cardinali, vari prelati e soldati germani e spagnoli guidati dal loro capitano generale. Ben presto però la processione si disunì e mentre il Papa e il suo seguito fecero ritorno a Palazzo Pubblico, l’Imperatore con un altro baldacchino proseguì con i suoi per un’altra cerimonia, fino alla Basilica di San Domenico dove “… fo menato a l’altare maggiore e posto sopra il faldistorio. Senza corona fece orazione, e tolta la corona in capo fo fatto canonico, e tutti gli riceve al bascio di la pace“.

Carlo V, che già lungo il percorso aveva mostrato la sua magnificenza ‘seminando denari’, nominò conti e cavalieri alcuni gentiluomini bolognesi e poi rientrò a Palazzo Pubblico con la sua corte.

Questo fu l’evento più internazionale che la città abbia mai ospitato, addirittura l’incoronazione di un Imperatore! Questo lega a doppio giro di corda la splendida città di Bologna alla Germania.

10) Bologna, il Belgio e i Paesi Bassi

Il Collegio dei Fiamminghi Jean Jacobs – Via Guerrazzi, 20

I legami che uniscono Bologna alle terre facenti un tempo parte del Ducato di Brabante (l’attuale regione di Bruxelles e Anversa, suddivisa tra Belgio: Brabante vallone e Paesi Bassi: Brabante olandese) hanno ormai da più secoli un punto di riferimento nel Collegio dei Fiamminghi, che ancora oggi ospita, nello spirito di una tradizione ininterrotta dal XVII secolo, studenti e giovani studiosi belgi e olandesi. Il Collegio dei Fiamminghi – detto anche Collegio Jean Jacobs, dal nome del fondatore – rimane uno dei pochi sopravvissuti tra i molti collegi universitari sorti a Bologna nella storia ormai millenaria della sua Università.

Gli stranieri che approdavano all’Alma Mater si organizzavano infatti sin dal Medioevo in Nationes, e non di rado queste Nationes fondavano Collegi, che ospitavano gli studenti provenienti da un determinato paese. Tali istituzioni avevano il compito di fornire un sostegno a coloro che giungevano da paesi lontani a Bologna per conseguire una laurea. Già per l’incoronazione di Carlo V, avvenuta nel 1530 in San Petronio, erano presenti e attivi in Bologna diversi artisti venuti dalle terre di Fiandra al seguito della corte. I legami con le Fiandre furono poi ravvivati da Dionisio Fiammingo, noto pittore nativo di Anversa, che si stabilisce a Bologna dove lavora sino alla sua morte, avvenuta nel 1619: e lo stesso Antoon van Dyck nel 1623 soggiorna a Bologna dove conosce l’opera dei Carracci e del Parmigianino.

Sulla scia di questi rapporti artistici si sviluppa una serie di legami tra Bologna e le terre del Brabante, che conoscono una crescita molto forte nel corso dei secoli XVII e XVIII. Nascono rapporti di scambio commerciale, e le buone famiglie bolognesi del ‘600 e del ‘700 non di rado mandano i loro figli in viaggio in quelle regioni del Nord, come accadde per Giulio e Guido De Bovio, per Rinaldo Duglioli o per Emilio e Girolamo Luigi Malvezzi che lasciarono tutti dei diari di viaggio assai interessanti.

Il flusso dei rapporti con tutta quell’area culturale e geografica diventa via via centrale nella vita bolognese dell’epoca, e va letta naturalmente in questo contesto anche la vicenda umana di Jean Jacobs, fondatore di questo Collegio, nato dal suo testamento, nel 1650.
Chi era Jean Jacobs?
Le sue origini sono a tutt’oggi controverse: alcuni storici lo fanno nativo di Bruxelles, altri lo identificano come il figlio di tal Giovanni Giacomo Jacobs, mercante originario di Bruxelles trasferitosi poi a Bologna. Quel che è certo è che Jean Jacobs divenne, nella prima metà del ‘600, imponendosi nell’arte orafa, un uomo conosciuto all’interno della vita cittadina: uomo di affari e di bottega, egli prese parte anche alla vita artistica e culturale bolognese, tanto da divenire amico e committente del pittore Guido Reni, che lasciò di lui un significativo ritratto. Jacobs Realizzò nel 1625 la lastra d’argento che il ricopre l’icona della Vergine con Bambino (nota anche come Madonna dei viaggiatori), esposta al Santuario della Madonna di San Luca di Bologna e un calice conservato nello stesso santuario.

Il rapporto con la città di Bologna e la sua Università divenne così importante da spingerlo a destinare buona parte delle sostanze accumulate nel corso della sua vita alla fondazione di un Collegio destinato ad accogliere studenti che provenivano dalle terre di Fiandra. Certamente anche vicende intime e familiari, non ultima la morte prematura del suo unico figlio, a seguito della peste “manzoniana” del 1630, avranno spinto Jacobs in questa direzione: decisione in qualche modo legata alla crescita dei rapporti che legavano Bologna con quell’area politico-culturale dell’Europa, cui appartenevano zone fiamminghe, francofone, neerlandesi (specificamente la città di Utrecht, molto legata a Bologna). Da esse, quindi dagli attuali Belgio e Paesi Bassi, devono provenire ancora oggi gli studenti universitari o i giovani studiosi che, per testamento di Jean Jacobs e per lo Statuto del Collegio, hanno la possibilità di diventare borsisti del Collegio stesso.
Forse, nelle intenzioni di Jean Jacobs è rinvenibile l’idea di ricostituire, proprio a Bologna e in una piccola convivenza, quell’unità delle terre di Fiandra andata perduta al tempo delle guerre di religione, a seguito delle quali i Paesi Bassi del sud rimasero spagnoli, divenendo poi austriaci e accedendo all’indipendenza come Belgio solo nel 1830, mentre i Paesi Bassi del nord ottennero invece piena e completa indipendenza già nel 1581.
Un busto ligneo del fondatore sorveglia la vita del Collegio.

Il busto ritrae Jacobs con una giubba chiusa da molti minuscoli bottoni. La tradizione voleva che ogni studente, all’atto di tornare nelle Fiandre dopo il soggiorno bolognese, staccasse uno di quei bottoni per portarlo con sé, come ricordo prezioso o portafortuna. La storia ne ha salvato uno, uno solo e nessuno, per il momento lo staccherà.

Ancora oggi i legami tra Bologna il Belgio e i Paesi Bassi sono fortissimi e vengono continuamente ravvivati dall’Associazione italo-belga “Bologna-Bruxelles A/R

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